Ricorderemo nel tempo gli inviti di papa Francesco a partecipare, spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione, alla preghiera nel tempo del Coronavirus; non dimenticheremo il sagrato di San Pietro deserto e le immagini delle nostre chiese vuote mentre si celebrano le funzioni religiose dove i soli occhi presenti davanti all’altare sono quelli di una telecamera o di uno smartphone.
Siamo tutti coinvolti nel turbine di relazione mediale che percorre il nostro presente frutto di una mobilitazione che colpisce per prontezza, generosità, inventiva, ed è normale che emergano limiti ed errori nella tecnica d’uso o nell’interpretazione dell’alfabeto digitale.
Problemi dei quali la Cei ha preso nota offrendo a tempo di record un decalogo («Celebrare in diretta tv o in streaming») che ricorda alcuni punti fermi a chi sta affinando la propria capacità di proporre liturgie “live” e la preghiera in famiglia.